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ChatGPT, ancora lati oscuri: dietro l’IA storie di sfruttamento

ChatGPT continua a far parlare di sé, dopo le varie polemiche sul suo utilizzo emergono notizie sullo sfruttamento che preoccupano non poco

Non tutti sanno che dietro ChatGPT e in generale dietro le nuove tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, ci sono persone in carne e ossa che prestano il loro lavoro, talvolta senza essere correttamente retribuite. In poche parole il chatbot è automatizzato e si basa su un sistema di apprendimento automatico ma i lavoratori che inseriscono i dati sono esseri umani e molti di loro sono pure sfruttati. I lati oscuri che preoccupano.

Emergono casi di sfruttamento di lavoro in chatgpt – Cultravel.it

A fare luce sulla questione che riguarda la retribuzione dei lavoratori di ChatGPT è una inchiesta di NBC News. Nella quale si dimostra che OpenAI, la startup che ha dato vita a ChatGPT, ha pagato con una bassa retribuzione molte persone. Questi lavoratori statunitensi avevano il compito di inserire dati per migliorare il processo di formazione del software del chatbot.

Chi lavora dietro ChatGPT (e quanto guadagna)

Quello che sta scandalizzando gli Stati Uniti in questi giorni è il sapere a quanto ammonta la paga corrisposta agli addetti all’inserimento dei dati. Questi lavoratori hanno il compito, molto importante, di etichettare i dati per l’Intelligenza Artificiale e servono per permettere a ChatGPT di essere sempre più performante e utile per i suoi utenti in tutto il mondo.

Il lato oscuro dell’intelligenza artificiale (cultravel.it)

In sostanza l’etichettatura dei dati è una parte fondamentale nella creazione di ChatGPT, anche con migliaia di reti neurali, senza dati etichettati non funzionerebbe niente. In particolare, il lavoro degli etichettatori è alla base dell’organizzazione dei dati all’interno dei sistemi automatizzati di intelligenza artificiale.

I loro contrassegni permettono di catalogare testi e immagini in modo che le macchine possano imparare a identificarli meglio da soli. Insomma svolgono un ruolo importante nella formazione dei modelli di machine learning. E il fatto che il compenso per questo compito fondamentale sia soltanto di 15 dollari all’ora ha fatto gridare allo scandalo.

Certo non c’è paragone con lo sfruttamento del lavoro degli esternalizzati in Africa, dove secondo le indagini di NBC News, OpenAI pagava i dipendenti, e in particolare coloro che facevano parte dei suoi team di moderazione, addirittura 2 dollari all’ora. Una cifra davvero misera per un lavoro fondamentale senza il quale il famoso chatbot non potrebbe funzionare.

Un salario basso che è possibile per via delle poche tutele e delle condizioni di lavoro a cui sono costretti i lavoratori africani. E per via, più in generale, degli appaltatori delle grandi aziende tecnologiche che sfruttano il lavoro a basso costo nei paesi del Terzo mondo.

Kati Irrente

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